Credo sia per chiunque davvero difficile immaginare che nella ricchezza di gusti di cui siamo circondati sia assente quello davvero magico, “divino” del cioccolato.
La storia, dall’amaro al dolce
Eppure la sua presenza ai nostri palati è relativamente recente, parliamo del primo ventennio del ’500, quando giunge in Europa con il conquistador spagnolo Hernán Cortés, cui l’imperatore azteco Montezuma ha fatto dono di un preziosissimo carico di cacao. Proprio del Centro America è la sua origine, peraltro consumato allora in modo assai diverso: mescolato ad acqua, se ne otteneva una bevanda molto tonificante ma altrettanto amara, chiamata Xocolati. Venerato dai Maya e dagli Aztechi come dono divino (detto appunto cibo degli dei), il cacao compariva nei banchetti dei nobili e dei dignitari, nei riti di propiziazione, era distribuito in premio ai soldati più valorosi, tanto da essere usato talvolta come moneta, cui anche l’oro era inferiore di valore.
In Europa furono i religiosi della Compagnia di Gesù a trasformare l’amara bevanda a base di cacao somministrata come medicina in dolcezza di cioccolato sempre più famosa e diffusa, sostituendo alcuni ingredienti e addizionando generose quantità di zucchero e vaniglia. Il re di Spagna decise così di finanziare in grande stile l’importazione di cacao dalle Americhe. Nonostante la rapida diffusione, il cioccolato rimase per lungo tempo interdetto al popolo per il suo prezzo proibitivo, e simbolo di privilegio delle case reali e delle classi nobiliari più alte e ricche: viene citato dalle cronache di corte del 1615 come dono specialissimo, di assoluta e regale distinzione, che Anna d’Austria reca con sé nel giorno del matrimonio dinastico con Luigi XIII di Francia.
I tempi moderni
Si diffonde in ogni luogo e nazione, se ne avviano coltivazioni equatoriali sempre più numerose, che hanno però il difetto di essere lunghe e faticose, affidate come sono al lavoro dell’uomo. Ma ci penserà presto la rivoluzione industriale ad accelerare tutto.
Intorno al 1830 appare il cacao in polvere, autentico salto di qualità nel modo di preparare la bevanda al cioccolato e man mano le altre lavorazioni: l’artefice è l’olandese Van Houten, un chimico, e il suo cacao è da tutti battezzato ovviamente “olandese”. Neanche vent’anni dopo compare sul mercato la prima tavoletta solida, il padre di questa svolta decisiva verso la comodità e praticità di consumo è l’inglese Joseph Fry.
La pianta del cacao
Il cacao è un albero spontaneo sempreverde, alto in media 5-8 metri. Il suo habitat sono i climi caldi e umidi, di cui mal sopporta le variazioni di temperatura; dunque la sua regione di elezione è compresa fra i Tropici, quello del Cancro e quello del Capricorno.
I fiori: 1 su 100 diventa frutto. Per facilitare la raccolta dei frutti il fusto viene tagliato basso, non oltre i sei metri. Fra i due e i tre anni inizia la produzione dei fiori, di color rosa in varie gradazioni, che spuntano attraverso la corteccia. Una produzione ricchissima e continua, ma effimera: ogni fiore dura solo lo spazio di un giorno, e delle migliaia di fiori solo uno su cento diventerà frutto, ad opera in natura di insetti impollinanti, e artificialmente grazie all’intervento umano con un pennello delicato.
Dopo sei mesi il frutto, detto cabosside o cabossa, sia avvia a maturazione: lo indica il variare del colore, dal rosso vivo al giallo limone, ma anche, scuotendolo, il rumore che fanno i semi (detti fave) al suo interno: ogni frutto ne contiene dai 30 ai 40, di forma a mandorla, ricoperti da una polpa biancastra. Aperta la cabosside, vengono posti al sole per liberarsi dalla polpa e stare a lungo ad essiccare. Insaccati poi in teli di iuta, stanno a riposare in magazzini freschi e areati prima di essere spediti verso le varie destinazioni.
Sono tre le grandi famiglie degli alberi del cacao: criollo, forastero e trinitario.
Il criollo ha fiori con stami rosa pallido; le cabosse paiono palloni da rugby rosso-violacei; i semi sono tondeggianti, bianchi traslucidi.
Il forastero ha stami viola, le cabosse sono verdi o gialle, i semi di un intenso color rosso quasi porpora.
Il trinitario è meno identificabile: c’è grande variabilità di toni cromatici sia negli stami che nelle cabosse che nei semi.
Li accomuna il contenuto in zuccheri, grassi, albuminoidi, alcaloidi e coloranti. Gli alcaloidi più importanti sono la teobromina e la caffeina (la quantità è simile a quella presente nel caffè): essendo l’una un euforizzante e l’altra un eccitante, possono indurre dipendenza in dosi elevate; della prima inoltre si conosce l’antico uso medico come diuretico.
Scegliere il cioccolato
Fra i vari modi in cui il cioccolato viene proposto al nostro e alla nostra scelta, si possono distinguere quattro tipologie fondamentali, cui si riferiscono altrettante composizioni specifiche degli ingredienti:
– il cioccolato fondente, fatto con pasta di cacao, burro di cacao e zucchero;
– il cioccolato al latte, i cui componenti sono pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e latte in polvere;
– il cioccolato gianduia, che contiene pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e pasta di nocciole;
- il cioccolato bianco, fatto con burro di cacao, zucchero e latte in polvere.
Il fondente
Può essere suddiviso in due tipi principali.
Si parla semplicemente di cioccolato fondente quando la percentuale di cacao è tra il 31 e il 43 per cento, e la presenza di burro di cacao è del 18 per cento: è la tipologia del fondente da copertura usato in pasticceria, un cioccolato più facile da lavorare.
Il fondente extra ha invece una percentuale di cacao non inferiore al 43 per cento, mentre la quota di burro di cacao è il 26 per cento.
In questi ultimi anni si è assistito all’impennata della percentuale di cacao nei fondenti extra, con grande successo di pubblico: oggi si trova facilmente in commercio cioccolato al 51%, e molti produttori offrono tavolette che arrivano al 70, 85 e persino al 99 per cento di cacao.
Va detto che i ”cultori” del fondente ritengono ideale una percentuale di cacao variabile tra il 55 e il 75 per cento, con quota ideale fra il 60 e il 65 per cento, e non oltre: è qui che il cioccolato risulta non troppo scuro, con tenui riflessi di rosso, l’aroma è denso; si frantuma in modo netto senza pezzetti, fonde quasi subito in bocca lasciando un buon sapore, complesso e duraturo.
Il cioccolato al latte
La moda imperante dei diversi fondenti non lascia certo in secondo piano gli altri tipi di cioccolato. Quello al latte, infatti, è altrettanto “nobile” e resta tuttora il più consumato al mondo; ha un sapore dolce e morbido, quasi “infantile”, meno forte del fondente, con percentuale di cacao non inferiore al 25 per cento; il tipo usato per copertura contiene burro di cacao per il 31%.
Il cioccolato gianduia
Frutto di una ricetta originale piemontese, è caratterizzato dal tipico gusto delle nocciole, ma deve contenere una percentuale di cacao di almeno il 25%, come per il cioccolato al latte. Oltre al sapore inconfondibile, sua caratteristica peculiare è la morbidezza: viene infatti spesso usato nelle creme di farcitura e nelle decorazioni.
Il cioccolato bianco
Anche se i cultori del cioccolato lo snobbano come fosse un “parente povero”, guardandolo con aria di sufficienza, va sottolineato che il cioccolato bianco è prodotto solo con la parte più pregiata del cacao, ottenuta da una delle prime lavorazioni dei semi. Ha sapore dolce e cremoso, e conta su estimatori convinti, non così numerosi come quelli dei suoi fratelli più scuri, ma altrettanto appassionati.
Prelibatezze
Una gioia non solo per il palato, ma anche gli occhi e la mente: è imperdibile “La fabbrica di cioccolato”, il film del 2005 diretto da quel genio della fantasia che è Tim Burton, interprete principale Johnny Depp. Altrettanto affascinante il libro omonimo cui si ispira, scritto dal romanziere britannico Roald Dahl. Davvero da gustare.
Crediti: Praline di cioccolato; Frutto del cacao; Cabossa; Fave Immagine di copertina: Tavolette di cioccolato, Frutto cacao