Quando si parla di spezie e di condimenti in genere, l’immediato riferimento è al loro largo e quasi esclusivo impiego sia nella cucina cosiddetta povera sia nell’arte culinaria più raffinata: sono cioè usati per condire, aromatizzare e profumare i cibi che quotidianamente portiamo in tavola oppure gustiamo in preparazioni o occasioni particolari, sempre comunque per il piacere del nostro palato.
Non è sempre stato così: il larghissimo consumo che i nostri antenati ne facevano riguardava anche le loro proprietà medicamentose e curative, considerate preziose e dunque tenute in gran conto quando la scienza medica e la farmacologia non avevano ancora vissuto il clamoroso sviluppo e il rapido impulso che ha caratterizzato la modernità dei nostri tempi più recenti.
Oggi molte delle indicazioni terapeutiche o lenitive di cui troverete accenno fanno sorridere per la loro genericità o incuriosiscono per stranezza o stupiscono per la loro pretesa di infallibilità terapeutica. Molte di esse suggeriscono che i problemi di salute che avrebbero dovuto risolvere riguardavano principalmente stomaco intestino fegato (troppo cibo? troppo poco?), condizioni di vita e situazioni ambientali e igieniche precarie (dunque disinfettanti e calmanti delle febbri), carenze o squilibri proteici.
Dunque, un tempo ciò che si usava per cucinare andava bene anche per curare.
Dalla cucina alla cura
Così, il chiodo di garofano (la gemma florale della pianta, il bottone del fiore colto non ancora aperto) che compare in Europa duemila anni fa, ed è già noto ai cinesi come “lingua di uccello”, ha goduto in tutto il Medioevo di una fama per certi versi sorprendente: si usava come febbrifugo, antisettico, analgesico; si riteneva che guarisse o agisse come coadiuvante contro ulcere, emicranie e gotta, attenuasse la sordità e proteggesse dalla peste, il vero flagello di allora.
La cannella di Ceylon è la scorza interna (staccata, arrotolata in bastoncini poi fatti essiccare) del Cinnamomo: sin da tempi antichissimi era utilizzata come astringente intestinale nella cura della dissenteria; aiutava la funzione renale, la digestione con l’espulsione delle flatulenze; era ottima difesa dai contagi; il suo olio buon rimedio ai “tremori delle giunture”.
Il coriandolo o prezzemolo cinese (sia le foglie che i semi) aveva la proprietà di spegnere i vapori acidi che salivano dallo stomaco, inoltre lo si riteneva efficace contro i giramenti di testa e gli stati confusionali (Plinio il Vecchio lo consiglia sotto il cuscino se si soffre di emicrania). Oggi lo conosciamo come antibiotico naturale, ed ha forte azione depurativa dai metalli pesanti, specie il mercurio, la cui intossicazione causa quegli stessi disturbi neuro-vegetativi.
La curcuma, che gli indiani già da secoli utilizzavano nella medicina ayurvedica come antisettico (curativo di ferite, bruciature, piaghe) e contro le disfunzioni epatiche, era prescritta come digestivo, diuretico, e per ovviare alla carenza di vitamina C (lo scorbuto).
Il cardamomo era raccomandato, sin dalle origini della medicina tradizionale tibetana, per l’azione corroborante sullo stomaco, dunque la capacità di stimolare la digestione e favorire così l’appetito, e intanto riequilibrare le disfunzioni intestinali come stitichezza e dissenteria. Non era il solo suo pregio: aveva anche fama di infallibile afrodisiaco.
La noce moscata (nome originale noce di Mascate) era considerata il rimedio ideale per ogni male: non solo fortificava cervello, cuore e stomaco, ma guariva rapidamente da nausea, vomito, diarrea favorendo il flusso biliare; era di grande aiuto contro i disturbi di chi andava per mare. In più, il suo burro leniva reumatismi e nevralgie. Attenzione però al suo uso smodato, causa di allucinazioni tipiche di uno stupefacente.
Il ginseng appartiene al genere Panax (l’etimologia dice tutto: cura per ogni male, in italiano panacea) era considerato dai cinesi un tonificante per tutto l’organismo e soprattutto un prezioso regolatore dell’attività cardio-circolatoria. Combatteva la stanchezza, sollevava l’umore e non soltanto, capace com’era di liberare il desiderio sessuale e garantire le prestazioni d’amore.
Il cubebe (altro nome del pepe di Giava) è uno dei capisaldi dell’antica medicina araba: è citato addirittura nelle “Mille e una notte” come miglior cura alla scarsa fertilità e alle affezioni delle vie urinarie. Ne parla anche Marco Polo. Si confezionavano specie di sigarette per stimolare le vie respiratorie contro asma, faringiti e allergie da riniti.
Il pepe lungo veniva mescolato con cipolla tritata e sale, e applicato come impiastro per combattere la calvizie.
Il decotto di pepe nero facilitava la digestione, ma ancor più si dimostrava un infallibile e rapido anti-piretico.
Anche il fieno greco era capace di calmare la febbre; inoltre curava l’eccesso di zuccheri nel sangue e le anemie, garantiva il latte alle puerpere, era ritenuto un ottimo ricostituente .
Dello zenzero si faceva uso come anti-settico e anti-scorbuto e per il trattamento della nausea causata dal mal di mare e dalla gravidanza; favorendo la vasodilatazione, attenuava la pressione alta, le palpitazioni e le cardiopatie. Inoltre in forma di distillato eccelleva nella cura delle affezioni agli occhi. È uno dei rimedi naturali ancor oggi più diffusi e dall’impiego più disparato a seconda delle tradizioni regionali.
I rimedi della nonna
Di tutto quell’immenso sapere curativo pratico, empirico, fatto di prove ed errori, qualcosa è rimasto, si è confermato efficace pur nel passare del tempo, intatto quantomeno nella credenza popolare rispetto all’evoluzione dei ritrovati medici e dei presidi farmacologici.
È quella saggezza antica e sedimentata da generazioni, uguale ovunque pur nelle varianti regionali e nella diversa reperibilità della materia prima: sono i rimedi della nonna, preparazioni artigianali con l’ingenua pretesa del toccasana o della pozione magica; sono quella fantasiosa congerie di tisane, impacchi, decotti, infusi, cataplasmi ancor oggi in voga perché naturali, e in quanto tali obbligati a far bene o almeno a non far danno, quelli che si amano definire “una mano santa”.
Ognuno di noi ne ha fatto esperienza, e magari vi ricorre ancor oggi con un poco di nostalgia per una tradizione di conoscenze che si va perdendo.