Le più recenti stime demografiche rese note dall’Onu dicono che la Terra nel 2050 dovrà sfamare una popolazione che avrà raggiunto i 10 miliardi di persone. Ci vorranno nuove risorse.
La Terra non basta
L’attuale sistema di produzione del cibo non reggerà a lungo a così ingenti e crescenti richieste, poiché i consumi di terreno, acqua ed energia sarebbero non sostenibili da un ecosistema già sin da ora messo a dura prova e in taluni ambiti drammaticamente vicino al collasso: è il caso degli oceani e dei mari, che secondo il parere concorde di chi da tempo li monitorizza reggeranno non più di una quindicina di anni prima di isterilirsi, snervati dall’aumento delle temperature, soffocati dalle plastiche, avvelenati dal mercurio e dai metalli pesanti, mentre le acque interne saranno destinate a inaridirsi completamente per l’eutrofizzazione causata dai fertilizzanti e dalle sostanze di rifiuto industriali.
Costi eccessivi e danni all’ambiente
Già oggi dunque la produzione di cibo comporta per l’ambiente costi eccessivi e danni irreversibili, che ne mettono a rischio gli equilibri e la sopravvivenza stessa. Prendiamo ad esempio l’impatto della produzione di carne: per produrre un hamburger servono 200 litri d’acqua e 25 chili di mangime; il 70 per cento di tutti i terreni agricoli è adibito all’allevamento del bestiame, che consuma il 45 per cento di tutti i cereali prodotti. Un altro dato di confronto: una famiglia media consuma in un anno la quantità complessiva di acqua necessaria a produrre cinque chili di carne bovina. Eppure la richiesta di questo alimento è destinata, nelle stime di previsione, a crescere di oltre il 70 per cento entro il 2050: curioso e significativo il fenomeno per cui si assiste a una globalizzazione dei gusti e delle abitudini alimentari tipiche del modello occidentale, proprio mentre in Occidente cresce e si diffonde in modo esponenziale l’opzione vegetariana nelle sue varie forme.
Il cibo sintetico
L’industria alimentare da qualche anno ha intensificato le ricerche per trovare nuove vie, nuovi modi per produrre cibo, e dunque nuove risorse.
Una di esse è costituita dal cibo sintetico. Si parte da un piccolo numero di cellule, sottoposte a processi di moltiplicazione in vitro gestiti secondo le più recenti tecniche di ingegneria genetica e sofisticati programmi di intelligenza artificiale; quasi sempre il terreno di crescita è una fonte botanica, il principio base è quello della fermentazione e le sostanze impiegate per far moltiplicare le cellule sono batteri e lieviti. Dunque niente additivi chimici, a favore di un prodotto pulito; nessun ricorso a organismi geneticamente modificati, invisi ai consumatori.
Dal 2013, anno del primo hamburger generato in vitro, a oggi le tecniche si sono affinate e diffuse in varie parti del mondo (Stati Uniti, Israele, Giappone specialmente), i costi di produzione sono precipitati pur se tuttora fuori mercato: si calcola che in cinque anni il prezzo di un chilo di carne sintetica sia passato da circa 2,5 milioni di dollari a 50 euro. Con lo stesso meccanismo si produrranno pesce, latte e uova (con buona accoglienza anche presso molti vegetariani), e si costruiranno proteine sintetiche.
Gli insetti a tavola
Un’altra risorsa sarà forse costituita dagli insetti: la quantità a disposizione è apparentemente sterminata, la produzione, o meglio l’allevamento, meno critica quanto a costi e impatto sull’ecosistema, purché la si controlli attentamente per non alterare delicati equilibri fra specie, attitudini, nicchie ambientali. Peraltro l’appetibilità e il cooking saranno tutti da inventare: occorreranno prevedibilmente sofisticate tecniche pubblicitarie mimetiche e persuasive per neutralizzare la profonda, ancestrale avversione che l’uomo (almeno da noi in Occidente) nutre per tali creature.