Da sempre e ovunque celebrato come dono degli dei, frutto simbolo di quale ineguagliabile dolcezza sappia produrre la madre terra, va subito detto che… non è un frutto. Quelle forme vagamente simili a pere, di sapore zuccherino e colore nero o giallo striato o verde o rossastro fino al violaceo che noi gustiamo (e che si chiamano siconi) sono le infruttescenze della pianta: i frutti veri e propri sono il loro contenuto, i minuscoli semi detti acheni.
Origini e peculiarità
Il fico domestico o gentile ha nome scientifico Ficus carica, che allude alle sue origini nella Caria, regione dell’Asia Minore, ma tutte le società agricole del bacino del Mediterraneo lo conoscono e lo coltivano da tempi antichissimi, apprezzandone la generosità della produzione, le risorse nutrizionali, la comodità di conservazione in forma essiccata, l’adattabilità ai diversi terreni e al variare delle condizioni climatiche.
La fioritura e la produzione di frutti dipendono dalle varietà: sono dette unifere, bifere o trifere indicando quante volte – una, due o tre – avviene la fruttificazione lungo la stagione. La prima si compie a giugno-luglio, e produce i fioroni (detti anche fichi primaticci, o grossi) dai rami più vecchi; la seconda a fine estate, e dà i fòrniti (o fichi veri), di particolare dolcezza e intenso sapore, cresciuti sui rami giovani; nei climi più miti non è raro assistere a una terza produzione, quella dei tardivi o cimaruoli, così chiamati perché si sviluppano sulle cime dei rami.
Tanta generosità non è stata però in grado di trionfare, dovendo far fronte e tuttora resistere alle cosiddette esigenze del progresso e dei mercati a larga scala: oggi prevale il consumo di frutti facili da raccogliere in modo meccanizzato, poco deperibili, conservabili con comodità, trasportabili anche su lunghe distanze senza produrre ingenti quote di scarto. L’unica alternativa, peraltro diffusa e apprezzata, è l’essiccazione.
Invece il fico per essere gustato fresco, al meglio dei suoi pregi, si raccoglie senza sosta, giorno dopo giorno durante tutta l’estate solo quando è al giusto livello di maturazione, esclusivamente a mano per non deteriorarlo, e non senza fatica di braccia e di competente attenzione: i frutti sono infatti fragili e delicati, è indispensabile che staccandoli dal ramo non si intacchi la buccia e che il peduncolo rimanga integro.
Resta dunque oggetto di (relativa) produzione di nicchia, a chilometro zero o comunque locale, di stampo amatoriale. Ciò è garantito dal fatto che non esige terreni di tipo particolare, è pianta robusta, indenne da malattie, che non chiede potature o trattamenti di presidio, rustica, generosa e frugale. Purché la temperatura non scenda a lungo sotto lo zero.
Le varietà
Delle circa 900 specie del genere Ficus, il fico gentile che tutti noi conosciamo è l’unico a prosperare in climi più settentrionali rispetto a quelli di origine, fino a mille metri di altitudine, in cambio chiedendo soltanto esposizioni soleggiate.
Che sono garantite in Italia dalle aree interne del Meridione, soprattutto il Salernitano, il Cosentino e la Sicilia, dove la produzione si orienta principalmente alla essiccazione.
Oltre al Gentile, le varietà più importanti sono il Dottato (ampiamente coltivato nella zona di Cosenza e in Toscana), il Brogiotto nero e bianco, il Callara, il Dattero, il Verdino.
Da citare infine il caprifico, detto anche fico selvatico, che non produce nulla di buono per i nostri palati: i siconi sono troppo coriacei, poco dolci, dunque non commestibili anche se non tossici. Ha però una caratteristica importante: porta anche i fiori maschili, che producono polline; le varietà di fico coltivate hanno solo fiori di tipo femminile e nella maggioranza di esse la fruttificazione avviene senza impollinazione; ma per alcune varietà l’impollinazione è invece indispensabile.
I fichi secchi
I frutti più sani e maturi vengono posti su un graticcio, ricoperti da una garza leggera. Debbono stare il più possibile al sole, affinché non assorbano umidità, quindi messi al riparo durante la notte. Tempo una quindicina di giorni, e l’essiccazione sarà completata. Mancando queste condizioni, si potrà usare un forno a bassa temperatura.
Proprietà e applicazioni
Le sostanze a base di zuccheri presenti nel cosiddetto frutto, sia fresco che secco, suggeriscono un tasso calorico elevato, che in realtà è di 47 kcal per 100 grammi, piuttosto poche rispetto ad altri frutti, fra cui uva e mandarini arrivano a 70 kcal. È garantita la presenza di minerali essenziali al metabolismo come potassio, calcio e ferro: 100 grammi di fichi secchi contribuiscono per il 20 per cento alle richieste di calcio e per il 30 per cento a quelle di di ferro. Presenti inoltre vitamine del gruppo A, del gruppo B, la PP, la C. Ma è della vitamina B6 l’apporto più prezioso: con tre soli frutti viene assicurato il 10% della dose quotidiana che è consigliato non far mancare all’organismo. Il cui metabolismo digestivo è facilitato dai molti enzimi presenti nel prodotto fresco, che è anche un ottimo stimolante della peristalsi intestinale, oltre a essere indicato, e tuttora impiegato dalla cosiddetta medicina “popolare”, come decongestionante e anti-flogistico nella cura di ascessi, foruncoli e gonfiori della cute (usando come cataplasma il lattice che fuoriesce quando si spezza una foglia o un ramo), nonché contro infiammazioni alle vie urinarie e polmonari.
Curiosità e modi di dire
Oltre che nella grafia al femminile, che evoca la vulva e in generale una donna bella e vistosamente attraente, e nella comune accezione maschile per dire di uno che ci sa fare, apprezzato per una particolare capacità, o ammirato per eleganza e bella presenza, va rammentato che la foglia di fico ricopre le pudenda di Adamo ed Eva quando nel Paradiso terrestre vengono scoperti nell’atto di peccare; che Giuda per la vergogna del suo tradimento si impiccò a un albero di fico (ma qui la concorrenza di altri alberi e altre tradizioni è davvero serrata).
Alcune locuzioni usate familiarmente: si dice “serbare la pancia ai fichi” nel senso di evitare pericoli, aver cara la pelle, ma anche con altro significato, cioè mangiare poco alle prime portate, sapendo che poi ci saranno pietanze più gustose; “riprendere dattero per fico”, ossia avere in cambio più di quanto s’è dato; “non vale, non m’importa un fico, un fico secco”, cioè non conta nulla, chi se ne frega; e infine “fare le nozze coi fichi, o con i fichi secchi”, fare in forma dimessa e modesta qualcosa che non si può fare con ricchezza e solennità, e quindi arrangiarsi accontentandosi; “nascondersi dietro una foglia di fico”, cioè negare una realtà o un fatto contro e nonostante ogni evidenza.
E infine una chicca: il termine sicofante in greco antico indicava – cito la Treccani – “nel diritto delle città greche a regime democratico, la persona che di propria iniziativa denunciava le violazioni della legge”. E il fico che c’entra? Etimologicamente, sicofante era colui che denunciava gli esportatori clandestini di fichi dalla regione dell’Attica, sottraendo cibo prezioso alla gente più povera. Dunque in origine un’azione virtuosa e un’accezione positiva. Il termine assunse man mano un significato deteriore, sino a indicare chiunque in cambio di denaro lanciasse accuse infondate e denunce false e strumentali. Così ne parlano Platone e Aristofane, e così è giunto sino a noi, come sinonimo arcaico di calunniatore, delatore, spia.
Dulcis in fundo
Citazione dal brano omonimo di Francesco Guccini: “Io non capisco la gente / che non ci piacciono i fichi / L’han detto persino gli antichi / Sì ai fichi, e abbasso i bignè”…
Crediti: Fico aperto, Fichi neri, Varietà di fichi Immagine in evidenza: Fico sulla pianta, Fichi secchi