La forchetta come simbolo e attributo del Diavolo e delle forze del Male? Sembra incredibile, ma per lungo tempo fu così! Bisogna tornare al Medio Evo per ricostruire la curiosa storia della forchetta.
I dettami della Chiesa e l’ostracismo alla forchetta
Nei secoli oscuri che seguirono la caduta dell’Impero romano d’Occidente fu la Chiesa a dettare, con minuzia, accanimento e severità oggi impensabili sino a muovere al ridicolo, le regole che garantivano la salvezza delle anime dalle mille tentazioni messe in opera dal Maligno per dannare gli uomini alle fiamme eterne. Una di esse comportava l’ostracismo alla forchetta, troppo somigliante al forcone con cui, nell’iconografia medievale appunto, i diavoli spingono i dannati nella voragine ardente dell’Inferno. Dunque il cibo, opera e dono di Dio, non poteva essere corrotto dal contatto con uno strumento maledetto, portato oltretutto alla bocca, così contaminando l’intero organismo del buon cristiano rispettoso dell’ortodossia.
A dire il vero, il divieto non fu difficile da rispettare: i barbari, nuovi padroni del mondo, avevano usanze appunto barbare, e anche in tempi più antichi la forchetta non era affatto diffusa. Nell’antica Grecia si usavano forchettoni (di solito a due punte, o rebbi) per brandire grandi porzioni di cibo, specialmente carne, per pulirle e sezionarle prima di mangiarle con le mani. Lo stesso uso ne fecero i Romani: nelle famiglie più agiate si usavano coperture delle dita (specie di ditali in metallo prezioso) per non imbrattarsi troppo le mani e le vesti, sdraiati com’erano sui triclini ove sono sempre raffigurati nelle scene di banchetto.
Nell’Impero Romano d’Oriente pare che la diffusione della forchetta (o di un oggetto più simile per uso a quello conosciuto dai tempi moderni in poi) sia riferibile al IV-V secolo dopo Cristo, circoscritto comunque alle abitudini di corte. La sua invenzione potrebbe venire da molto lontano, Medio o Estremo Oriente, ma i documenti che vi accennano sono di datazione davvero incerta.
La forchetta tra le raffinatezze di una principessa
Torniamo in Occidente, all’Anno Mille o giù di lì: la tanto annunciata e minacciata Fine del mondo non c’è stata, ma il clima resta quello. I dettami della Chiesa per una vita sobria, morigerata e virtuosa contro le tentazioni e il peccato sono ancor più rigidi. Ed ecco che nell’anno 1075 sbarca a Venezia Anna Teodora Dukas, sorella dell’imperatore di Bisanzio, per andare in sposa al doge Domenico Selvo. E’ ovviamente un matrimonio politico, che aprirà alla Serenissima i commerci con l’Oriente in cambio di un’alleanza contro i normanni.
La principessa introduce in Laguna il lusso e le raffinatezze della corte imperiale bizantina: appunto l’uso della forchetta (a due rebbi, rigorosamente d’argento), il trucco per le dame, nuovi abbigliamenti, essenze e profumi esotici, rituali e danze. Con grande scandalo delle autorità della Chiesa, dei predicatori e dei tradizionalisti: occorreva preservare i cristiani d’Occidente dagli usi decadenti dell’Oriente. Nonostante ciò la forchetta (seppur di materiale meno nobile) lentamente si diffuse. Per la cronaca, la morte prematura e contemporanea dei coniugi sacrileghi e dissoluti otto anni dopo fu ascritta alla punizione divina per aver ceduto a Satana.
Con un ultimo salto temporale arriviamo al 1770: a Napoli, durante il regno di Ferdinando IV di Borbone, il ciambellano di corte Gennaro Spadaccini pensa a una forchetta a quattro punte come miglior strumento per infilzare e raccogliere il cibo e portarlo comodamente alla bocca.
Tutto ciò che seguirà saranno semplici variazioni al tema.