Il piccante e il suo re, il peperoncino

In passato il sapore fu considerato per lungo tempo un indicatore infallibile – se non l’unico, o il prevalente in assenza di sufficienti cognizioni medico-scientifiche – della natura più o meno benigna e salutare dei cibi. Oggi chiamiamo organolettiche le proprietà fisiche e chimiche (odore, colore, sapore) percepite dagli organi di senso umani, non più sufficienti da sole a dirci cosa è consigliabile, a noi moderni, per un’alimentazione appropriata, completa ed equilibrata.

Immagine peperoncini
Peperoncini appena raccolti

La prevalenza del piccante

Sin dal Medioevo il sapore piccante, oggi rappresentato per eccellenza dal peperoncino, andava per la maggiore: era ritenuto da tutti – medici e cuochi e commensali, senza riserve né contro-indicazioni – un ottimo aperitivo, attivatore della temperatura del sangue, curativo della milza e degli altri organi della digestione, perché riscalda e scioglie, dunque raccomandato per un buon metabolismo.

Giocava ancor più a favore del piccante il fascino derivato alle spezie tutte dalla loro provenienza esotica, luoghi lontani e in gran parte sconosciuti ma ammantati di suggestioni mitiche, quasi paradisiache: non potevano che “far bene”.

Più prosaicamente, le spezie che venivano da così lontano erano costosissime, dunque accessibili a pochi, dunque tratto di distinzione sociale evidente e facilmente spendibile in ogni occasione di convivialità. Salute e prestigio le resero sempre più apprezzate.

Dalle Americhe, il peperoncino

Al ritorno dal secondo viaggio nelle Americhe, le stive di Colombo rivelano il peperoncino, destinato a diventare il sapore piccante per antonomasia. Non solo per le sue particolari doti di piccantezza, ma anche per la facilità ad acclimatarsi e dunque a essere coltivato in svariate regioni e terreni. Il successo del sapore e la sua rapida diffusione geografica – è oggi presente e quasi insostituibile nelle abitudini culinarie in Africa, in Centro e Sud America e nella parte sud-orientale dell’Asia – lo hanno reso sempre più popolare, contribuendo inoltre a liberare le spezie dalla connotazione di chiccherie, di “sapori per ricchi”.

La cucina d’elezione da allora ha virato in direzione opposta, scegliendo una raffinatezza improntata al morbido, al leggero, al tenue, al burroso, sapori non più forti ma delicati, da cogliere con competenza e sapere, con nuova attenzione all’amaro e al dolce e alla loro commistione. A essi saranno dedicati prossimi articoli.

La sensazione

L’effetto “piccante” è prodotto da particolari molecole nel contatto con i recettori presenti nella lingua e nella cavità orale. Curiosità: le papille gustative (dette anche linguali) che permettono di riconoscere i sapori fondamentali – dolce, salato, acido, amaro, con l’aggiunta recente del sapore umami prodotto soprattutto dal glutammato – e tutti i miscugli e le sfumature, non sono decisive nella percezione del piccante, che dipende invece da ciò che registrano i recettori dolorifici. 

Per questo motivo, molti lo definiscono una “sensazione” piuttosto che un gusto. Sono numerosi gli alimenti che contengono tali sostanze in grado di attivare quel tipo particolare di percezione. 

La capsaicina è quella che dà la “forza” intensa al piccante del peperoncino.

La piperina è quella prevalente, con la cavaicina, in tutti i tipi di pepe.

Nello zenzero l’effetto è prodotto dal gingerolo.

Nella senape, nel rafano, nel wasabi la molecola è l’isotiocianato.

La cipolla, lo scalogno, l’aglio la presenza caratterizzante è quella dell’allicina.

Diverse quantità e qualità di piccante, dunque, cui partecipano in misura parziale eventuali presenze di tannini e acidi.

immagine peperoncini seccati
Peperoncini, aglio e origano appesi a seccare

Il peperoncino fa bene? Fa male?

È riconosciuto alla capsaicina l’effetto di abbassare il colesterolo cattivo nel sangue, con tutela del cuore contro insorgenza di disturbi cardiovascolari; ha proprietà anti-batteriche e anti-diabetiche. Consumato fresco, il peperoncino fornisce la vitamina A, la C, il beta-carotene, tutti presidi antiossidanti. È anche un vaso-dilatatore, e un buon ausilio per la digestione. Ultimo, ma non ultimo, gli si attribuiscono capacità afrodisiache.

Però, maneggiare con cura: irrita, causa bruciore alle mani al semplice contatto, dunque evitare contatti con occhi e labbra. Stessa irritazione potrebbe colpire intestino e tratto urinario; dunque vivamente sconsigliato a chi soffre di colon irritabile, acidità di stomaco, reflusso, ha problemi di gastrite o di ulcera, o al plesso emorroidale.

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La scala di piccantezza

Venne ideata nel 1912 dal chimico statunitense Wilbur Scoville – da cui il nome di scala Scoville – per misurare il livello di piccantezza dei peperoncini, che è espresso in SHU (dall’inglese Scoville Heat Units): indica la quantità di capsaicina presente nell’alimento, a cui si deve la sensazione di “bruciore” che produce all’assaggio. Il valore massimo è di 16.000.000, praticamente la capsaicina pura; il valore zero è di un normale peperone dolce. L’attuale campione di piccantezza è il “Pepper X” con il punteggio di 3.180.000 SHU.

E il nostro temibile “calabrese” dov’è? Piuttosto in basso, con valori fra 15.000 e 30.000. Infine, la paprika forte è intorno al 1000, non di più.

Immagine tenente colombo
Peter Falk nei panni del tenente Colombo

Il chili del tenente Colombo

È uno stufato piccante di carne di manzo, pomodori, fagioli rossi, cipolle e ovviamente peperoncino. L’origine è quasi certamente messicana. A parte le molte variazioni sul tema, nella scala Scoville è alla pari del nostro calabrese. Di solito si accompagna con tortillas di mais, ma il nostro amato tenente preferisce i cracker sbriciolati. Purtroppo quasi mai riesce a finirlo.

Crediti: Peperoncini; Peperoncini e spezie essiccati; Il tenente Colombo
Immagine di copertina: Ciotola di paprika in polvere e peperoncini, peperoncini freschi
Il piccante e il suo re, il peperoncino

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