Terroir: la carta d’identità del vino

La geografia del vino

Quando si parla di vino e dei luoghi elettivi della sua produzione, il pensiero e l’istantaneo riferimento vanno al nostro Mediterraneo, la regione che da sempre ne è la culla: gli inverni più miti, le estate meno secche creano le condizioni tradizionalmente più favorevoli a creare eccellenze senza paragoni. È appunto il clima mediterraneo. 

È pur vero che tali requisiti si possono trovare anche in altre regioni, fra tutte la California e l’America del Sud, che stanno diventando veri e propri contendenti. 

È pur vero che stiamo assistendo negli ultimi anni a variazioni climatiche che suscitano inquietudine e timori. 

Eppure sono ancora le terre che si affacciano al Mare Nostrum e le regioni limitrofe situate più a Nord quelle dove da sempre nasce il miglior vino. A ciò si aggiunge l’evoluzione delle tecniche enologiche sempre più affinate e sofisticate, in grado di raggiungere i più lontani mercati e di soddisfare, in qualità e prezzo, ogni fascia di consumatori e di incontrare i più diversi gusti.

Immagine di paesaggio Toscano
Paesaggio toscano immerso nella bruma

Il terroir

Tre sono i fattori che incidono sulla produzione del vino: il clima, il tipo suolo, l’esposizione. Caratteristiche che confluiscono nel termine complessivo di origine francese terroir, che designa e identifica quell’area in cui le proprietà naturali (suolo e sottosuolo), la composizione geologica, la zona climatico-geografica (temperatura, ventilazione, esposizione al sole, quantità di acqua, tasso di umidità), la micro-fauna (presenza di micro-organismi) e la macro-fauna, il vitigno, e in più ogni tipo di intervento umano volto a tutelarle, esaltarle o contenerle, concorrono a definire una specifica produzione viti-vinicola, unica e particolare.

Immagine di vigneto in Germania
Tipico vigneto collinare in Germania

Il clima

C’è bisogno di pioggia abbondante  in inverno, altrimenti la vigna non prospera. C’è bisogno di molto sole in estate, per la fioritura di giugno e fino al momento della vendemmia. Sono il caldo e il sole che garantiscono la miglior maturazione dell’uva.

Ma ci sono coltivazioni che non godono di tali favorevoli condizioni, eppure sono capaci di dare grandi risultati. Si pensi al nostro Piemonte, ma non solo: la Borgogna, la Champagne e alcune zone della Germania hanno climi più inclementi. Soprattutto per questi vini si scomoda la diceria che la vigna un po’ deve patire per dare buon vino. 

La siccità è un problema, ma non sempre una maledizione: le radici della piante sono profonde, e ciò le garantisce e protegge. Si cita al proposito la lunga penuria d’acqua patita a metà degli anni 70, che paradossalmente favorì in molte zone annate di alto pregio.

È piuttosto il freddo il grande nemico. Il gelo primaverile annienta le gemme e le uccide. Nel maggio del ’77 la zona di Bordeaux vide in una notte distrutta gran parte della produzione.

Anche le temperature invernali sotto zero sono nefaste: tutti i viticoltori francesi ricordano quel maledetto febbraio del 1956, quando il termometro scese a –25 e fece strage nell’intero sud-ovest.

Dunque il freddo persistente o una lunga stagione piovosa daranno vini acidi, privi di equilibrio, con un tasso alcolico basso.

La grandine è un’altra piaga, capace di abbattere in poche ore intere coltivazioni: essa è purtroppo sempre più frequente alle nostre latitudini, conseguenza di alterazioni climatiche prodotte da squilibri ambientali dovuti all’eccessivo, sciagurato e noncurante sfruttamento delle risorse del territorio.

Sono queste alterazioni, per nulla casuali o fatali, a produrre eccessi di precipitazioni in primavera e inizio estate: la pioggia di giugno mette a repentaglio la quantità, riscattata dalla qualità se il clima rimane stabilmente soleggiato sino al tempo della vendemmia: un esempio fra i tanti quella del ’61 nel Bordolese, che fu eccellente pur a prezzo di una quantità davvero esigua.

La pioggia al tempo della vendemmia rischia di fare marcire le uve: ciò consiglia i vignaioli tedeschi a ritardarla il più possibile ottenendo dagli acini stramaturi alcuni loro famosi vini abboccati, cioè più dolci e dunque amabili.

Se è vero che le regole sono fatte per ammettere eccezioni, occorre consultare con una certa prudenza le tabelle che dettagliano la qualità dei vini nelle varie annate, che non sono da considerare oro colato: l’esposizione di un vigneto rispetto ad altri di zone anche molto prossime è capace di proteggerlo dai venti freddi o di fargli assorbire tutto il sole che gli serve. Sono i cosiddetti micro-climi a essere spesso decisivi. 

immagine di terre coltivate e vigneto
Sotto un meraviglioso cielo terre coltivate e vigneti

Il suolo

Oltre al clima, è ovunque un suolo povero e ostico, non fertile, che stimola la vigna a dare il meglio si sé. I terreni ideali per produrre vino debbono contenere diverse e variabili mescolanze di calcare (carbonato di calcio), marne (composte da argilla e carbonati), scisti (derivati da trasformazioni di sostanze argillose) e appunto argille.

È fondamentalmente in rapporto alla percentuale di argilla, sabbia e limo che mutano le caratteristiche strutturali dei vini. La sabbia è molto permeabile all’acqua, ma così non trattiene i minerali utili alle piante. Effetto opposto produce l’argilla, che però se è troppo abbondante ostacola l’afflusso di acqua, aria e organismi preziosi che esse contengono. Il troppo limo riduce la fertilità e rende più difficile la coltivazione. E’ intuibile che dal punto di vista agronomico il terreno ideale è la giusta e delicata mescola di tali componenti. 

Suoli più argillosi producono vini ricchi, di buona intensità e corpo, grado alcolico, longevità.

La maggior presenza di sabbia è all’origine di vini freschi, leggeri, poco alcolici, da consumare giovani.

Terreni limosi danno preferibilmente vini equilibrati e ricchi di profumo, di media struttura, non particolarmente longevi.

Alcuni esempi

Il Moscato d’Asti deve il suo aroma a terreni nei quali ben si armonizzano la presenza di sabbia, tufo e antichissimi resti geologici di conchiglie.

Il Montepulciano odia il limo, il fango: il suo pregio è dato dall’alternanza di sabbie e argille.  

Il Nero d’Avola si esprime al meglio in terreni bianchi, ricchi di calcare.

Il Passito di Pantelleria alligna in quei terreni ricchi di pietra vulcanica, argilla e ossido di ferro, e la chance in più gliela dà il micro-clima.

Nella valle della Mosella il terreno è ricco di ardesia, e viene da lì la particolare gradevolezza di vini come il Riesling.

Il suolo ricco di gesso favorisce lo champagne. Dai terreni aridi e pietrosi chiamati “graves” tipici della zona francese del Médoc, in Aquitania, nascono i suoi migliori vini.

Crediti da Pixabay: Foto di SchwoazePortraitorChristelle PRIEUR  
Foto di copertina da Pixabay : Congerdesign ; Luis Lessing
Terroir: la carta d’identità del vino

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