Il consumatore avveduto e consapevole al momento dell’acquisto di un prodotto alimentare consulta l’etichetta che per obbligo di legge dettaglia gli ingredienti utilizzati per crearlo e confezionarlo.
Essi sono sempre elencati in ordine decrescente di quantità, dunque da quello presente in maggior quantità via via fino a quello in piccola o piccolissima, ma non trascurabile, presenza: è il caso degli additivi, che in pratica chiudono sempre l’elenco. Vi compaiono contrassegnati da una sigla alfa-numerica o da nomi strani di origine chimica che il più delle volte risultano misteriosi se non del tutto incomprensibili che ne impediscono l’identificazione.
Cosa sono gli additivi alimentari
Gli additivi alimentari sono sostanze che vengono addizionate agli alimenti per prolungarne la conservazione, modificarne il colore, il gusto, la consistenza così da renderli più gradevoli alla vista, più appetibili, più sicuri e garantiti per il consumatore, e dunque da acquistare senza tema di rischi per la salute.
Requisiti di garanzia
Per garantire ciò ogni additivo deve rispettare norme severe: non deve reagire con l’alimento o uno dei suoi componenti formando sostanze che possono risultare tossiche; non deve nascondere alterazioni dell’alimento, né tantomeno intenzioni commerciali fraudolente; deve corrispondere a criteri di purezza definiti da protocolli internazionali; i quali inoltre stabiliscono a quale alimento (e non ad altri) possa essere addizionato.
Come riconoscere gli additivi alimentari
Sono classificati in base alla funzione che svolgono negli alimenti. La sigla che li identifica è composta da un numero preceduto da una lettera maiuscola. La lettera E certifica che l’additivo è riconosciuto e consentito in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Il numero che l’accompagna designa la categoria. Vediamole in sintesi:
– i coloranti sono contrassegnati da sigle che vanno da E100 a E199; di uno di essi, l’E120, la cocciniglia, presente in aperitivi e liquori, si è già parlato diffusamente in un precedente articolo;
– i conservanti vanno da E200 a E299: hanno il compito di allungare il tempo di deterioramento dei cibi provocato da batteri, lieviti e muffe;
– gli anti-ossidanti si riconoscono dalle sigle comprese fra E300 ed E322; si oppongono ai processi di ossidazione dell’alimento, responsabili della perdita delle sue capacità nutrizionali e del mutare degenerativo della sua composizione chimica;
– i correttori di acidità hanno sigle da E325 ad E385: molti sono di natura organica, atti perlopiù a variare e regolare la reazione di pH di uve, mosti e vini;
– addensanti, emulsionanti e stabilizzanti hanno sigle da E400 ad E 495: a seconda delle caratteristiche dell’alimento cui si aggiungono, ne esaltano consistenza, morbidezza e spalmabilità;
– senza sigla specifica sono gli additivi aromatizzanti: conferiscono all’alimento particolari sapori e odori; sono raggruppati nelle etichette sotto la definizione generica di “aromi”.
Le dolenti note
Nonostante regole stringenti che ne dettano l’uso, non tutti sono davvero così innocui. I rischi che la loro assunzione comporta derivano da due aspetti distinti ma complementari: la tossicità, e la quantità ingerita.
Va sottolineato che per determinare tali valori di rischio, e le conseguenze che ne seguono, ci si affida ancor oggi alla sperimentazione animale e agli effetti indotti da tali sostanze sulle cavie. Stupisce che in questo tempo di travolgente sviluppo scientifico non vengano implementate metodiche alternative, assai e più probanti, che pure esistono e di cui è comprovata l’assoluta validità, ma che hanno il difetto di non godere di finanziamenti, di riconoscimento e legittimità giuridico-legislativa, di agevolazioni fiscali e in genere di sostegni governativi alla ricerca. Si pretende ancora di sintetizzare e definire criteri di salubrità o nocività dalla presunta analogia tra organismi che forzosamente si definiscono uguali ma che uguali non sono, appunto l’uomo e gli animali, che a molte sostanze reagiscono in modo diverso se non opposto: è forse superfluo citare per tutte l’aspirina, l’acido acetilsalicilico, tanto prezioso per l’uomo quanto mortale (il termine tecnico è: teratogeno) per quasi tutti gli animali da laboratorio.
Vediamo alcuni effetti indesiderati e a volte particolarmente nocivi.
Gli effetti degli additivi alimentari
Appunto riguardo all’aspirina, l’additivo tartrazina (E102), presente in dolci, sciroppi, bibite, conserve vegetali (escluse quelle di pomodoro), gelato allo zabaione, è sconsigliata vivamente agli allergici all’aspirina e a chi soffre d’asma.
Analogo uso e analoghe contro-indicazioni ha il colorante giallo arancio S (E110), che in più può provocare eruzioni cutanee.
L’eritrosina (E127), usata per caramelle, frutta sciroppata, canditi, gelati, ghiaccioli, in dosi eccessive può indurre un aumento di tumori alla tiroide (riscontrato nei topi…).
Del caramello (E150) va detto che è prodotto trattando gli zuccheri con il calore e sostanze chimiche come acido solforico e ammoniaca.
L’acido benzoico (E210) è un additivo anti-muffa usato per succhi di frutta e varie conserve a base di pesce: i rischi di tossicità derivano dalla dose eccessiva.
L’E220 (anidride solforosa) si trova nel baccalà, gamberi, crostacei, frutta secca, marmellate, aceto e vini, funghi secchi, uve raccolte: può provocare perdita di calcio, la inattivazione della vitamina B1, irritazione alla mucosa dell’intestino.
Il sodio solfito (E221), di impiego simile, può indurre cefalee, iper-sensibilità, debolezza fisica, fatica nel respiro, tosse.
Il nitrito di potassio (E249) è contenuto nella carne in scatola, negli insaccati crudi e cotti, nelle carni preparate o conservate: è potenzialmente pericoloso combinandosi con altre sostanze, con rischio di cancro.
Negli stessi alimenti può essere presente il nitrato di sodio (E251): occorre non superare la dose consigliata di consumo giornaliero, e soprattutto tenere alla larga dai bambini.
L’acido ascorbico (E300) e il sodio ascorbato (E301) sono anti-ossidanti additivati a carni in scatola, confetture, budini, caramelle, gomma da masticare, succhi e nettari a base di frutta, con indesiderati effetti diuretici e presenza di glucosio nelle urine.
La lecitina di soia (E322) è un emulsionante di margarina, budini, creme pasticciere, cioccolato, cereali per la colazione, e ha azione anti-ossidante nei dolci e nella frutta candita; aiuta il fegato nel trasporto dei grassi alla periferia, ma se si esagera rallenta l’assorbimento intestinale.
L’acido ortofosforico (E338) si trova nelle bevande analcoliche gassate e nelle gelatine: una quantità eccessiva di fosforo può inibire il calcio, causando rachitismo e osteoporosi.
I polifosfati (E450) presenti in latte in polvere e condensato, farina di patate, budini e carne in scatola, insaccati cotti, carni di tacchino, alimenti impanati e dolciari, sottraggono anch’essi calcio all’organismo, e sono caldamente da evitare per i bambini.
Un discorso a parte merita il glutammato, classificato con la sigla E620 o E621, cui verrà dedicato prossimamente un articolo di approfondimento.
La quantità
Altrettanto importante è la cosiddetta DGA, cioè la dose giornaliera ammissibile, conosciuta anche con la sigla internazionale ADI (acceptable daily intake): essa definisce la quantità di un additivo che una persona è in grado di assumere ogni giorno senza subire conseguenze dannose alla salute. E’ un valore numerico che rappresenta i milligrammi di additivo per ogni chilogrammo di peso corporeo tollerabili dal consumatore. Dunque gli adulti ne possono assumere più dei bambini.
Anche la DGA è definita in base a test eseguiti sugli animali e parametrati in rapporto all’uomo: è sulle cavie che si misurano la tossicità massima, quella sub-cronica, quella cronica (cioè di lungo termine) e infine la sua presumibile assenza.
Molti ricercatori (vien da chiedersi quanto indipendenti) sostengono che la dose giornaliera di additivi si possa superare allegramente. Altri sottolineano i rischi testé illustrati, e raccomandano attenzione a persone con particolari consuetudini alimentari, carenze o intolleranze di nutrienti, patologie in atto o cronicizzate, o ancora e soprattutto a donne in gravidanza.